“Buongiorno”, disse l’uomo con tre dita entrando nel negozio. “Buongiorno” rispose Barnaba, e, riconoscendo al volo il cliente, porse immediatamente lo strumento. “Grazie maestro” disse il chitarrista al signor Barnaba, e, dopo averlo guardato minuziosamente, fece una smorfia di disappunto. Barnaba non si lasciò scalfire da quello squallido cenno. Data la sua esperienza, era ben consapevole di aver realizzato uno strumento che rasentava la perfezione, pertanto decise di identificare quell’ inutile pretestuoso atteggiamento, come un “solfeggio”!. Acidamente l’uomo, che chiameremo ormai come meglio ci garba, chiese: “posso provarlo?” “Certo!”, rispose solfeggiando Barnaba, che chinando la testa, nella speranza di redarguire lo sciocco cliente, gli offrì immediatamente sgabello e poggiapiedi. E fu così che il chitarrista a tre dita, dopo aver provato l’accordatura,che tra l’altro era stata approntata da Barnaba in modo impeccabile, dandosi un po’ di arie, cominciò dieci minuti di soporifero riscaldamento. Blin blom blim blam blomblimblam. Barnaba capì immediatamente con chi avesse a che fare, ma mai come in quell’ istante ne fu consapevole, però, se il suo primo lavoro era costruire strumenti, era altrettanto vero che il suo hobby era quello di mettere qualcosa di dignitoso sotto i denti e, di conseguenza, decise di fingersi interessato e piacevolmente colpito dal suonatore, guardandolo con una faccia, che lui amava definire del “liutaio attento”. Faccia che ormai si era studiato negli anni con molta molta cura e che gli consentiva di essere fisicamente vicino al cliente e mentalmente altrove. Alla fine del riscaldamento, il cliente, cominciò una cantilena che avrebbe potuto suonare con un qualsiasi strumento, tranne che con una chitarra, rompendo così i timpani al maestro che, ormai, dando sfogo a tutta la sua fantasia, si era perso tra forme strane e profondi suoni, provenienti più che altro da nuovi e lontanissimi mondi. Mondi tranquilli che festeggiavano gli eventi con il rapido susseguirsi di celestiali colori. Trasportato da soffici nuvole vide tigri e leoni, sorridenti, giocare a mosca cieca con stambecchi e agnelli. Fiori danzare al suono di una serie di orchestre che si facevano concorrenza!!!!!!!!! La prima, composta da grilli in smoking e occhiali da sole, fumando sigari cubani proiettava luci diffuse che miste al gusto senape condivideva sandwich e sigarette colorate con maialini dal comportamento ineccepibile. La seconda orchestra, composta da cicale e vermi vari, proiettava immagini new age, ma con l’ausilio del suono retrò di violini, viole e violoncelli rendeva il ritmo orticante, misterioso e di sicuro effetto. Barnaba fu colpito dalla terza orchestra, composta da zebre, cavalli e leoni, che, sfoggiando criniere irrigidite da enormi quantità di brillantina, sfidavano in modo plateale delle piccole scimmie dalla coda pelosa. Il ritmo, lento e bizzarro, si mescolava, a loro piacimento, prima ad un incredibile odore di liquirizia, poi all’incessante tam-tam che proveniva da lontano, e, interpretando l’andamento quasi autonomo di un benessere diffuso, sfruttava le varie pause suonando a ritmo di jungle style, mai sentito prima. Ad un tratto i colori di tale visione si impossessarono dei suoi occhi e della sua mente e, a quel punto, il Barnaba pensò : “forse sono al sud del mondo!”, e sudando, a causa dell’ incessante percussione che lo travolgeva e che accompagnava da tempo il suo ritmo cardiaco, ebbe una visione che, almeno in apparenza appagò i suoi sensi a tal punto da scoprire, travolto in modo definitivo dall’ entusiasmo che era solito coinvolgerlo, che le sue sigarette lasciarono spazio a quantità esorbitanti di materia cerebrale sparsa nel corridoio della sua esistenza e la coppia di polmoni che ormai stanca era costretta ad accompagnarlo fino alla fine dei suoi giorni ne fu grata in modo plateale. Fu proprio in quell’istante, ricco di estasi, che gli venne in mente un nuovo strumento scaccia pensieri. Il “Jafranja”. Strumento del quale, più avanti, avremo modo di apprezzarne sia le doti che la notevole quantità di difetti che lo rendono unico nel suo genere. La piacevole emozione che si stava regalando cessò nel momento in cui il suonatore disse, lasciando trapelare tutto il suo malcontento,: “il suono non tanto mi convince, comunque….” . Barnaba spezzò la frase, faticando non poco per ritornare nella realtà, e con la solita calma, che gli era propria, gli disse: “lo strumento è stato realizzato con legno di altissima qualità e le proporzioni sono state rispettate tutte”. Nel contempo gli fece notare come le rifiniture fossero di pregio e che tutti i pezzi aggiunti fossero stati trattati con prodotti che garantivano una lunga conservazione. “Va bene, anche se non mi convince del tutto, la prendo. Però mi deve dare una lucidatina qui!” “Dove?” chiese Barnaba. “Proprio qui”rispose, puntando una delle tre dita. Immediatamente prese cera e straccio e cominciò a lucidare, anche se in realtà non vi era alcuna necessità. “Visto che si trova “ continuò il cliente “può stringere le vitine delle chiavi per l’accordatura? Sa si sente la vibrazione! La sente?” Non sentendo alcuna vibrazione Barnaba disse: “devono soltanto assestarsi non le pare?” “Noo! mi creda, io gli strumenti li conosco bene” rispose, grattandosi un orecchio con la mano buona. Barnaba prese qualche attrezzo e fece finta di stringere le vitine. Chiese immediatamente: “la ripongo nell’astuccio?” “Un attimo” disse lo strimpellatore a tre dita, “non ritiene opportuno montare delle corde nuove?” e Barnaba, pur di stringere i tempi, disse, sapendo di mentire:“le do un consiglio, faccia assestare per bene il legno e poi potrà cambiarle!” Ma,dato che era esperto, decise di dargli il colpo finale dicendo: ”infatti le do sei corde nuove e quando sarà il momento le cambierà. Non si preoccupi per il tempo, lei è un esperto e quando sarà il momento se ne accorgerà. Ripongo in astuccio?” “E’ giusto disse non ci avevo pensato ok riponga!” “Grazie”, rispose Barnaba guardando il musicista con occhi stanchi. Già! Occhi stanchi e appesantiti, ma non dal lavoro bensì, dalla routine che scandiva ormai i suoi giorni da anni. “Dobbiamo però rivedere il costo, dovrà farmi uno sconto! Non le pare?” e Barnaba: “guardi , ho impiegato molto tempo per poterle preparare lo strumento e se considera il costo dei materiali e il costo della vita, con la sua domanda mi imbarazza! Non le pare?” rispose facendo segno al cartello, ormai sbiadito, posto sul banco. Sul cartello vi era scritto: “Prima di chiedermi lo sconto sappiate che sono cintura nera di karatè e oggi mi sento un po’ nervoso. Rivolgersi all’ ufficio reclami” e sotto alla scritta c’era disegnata in modo vistosissimo una freccia che puntava a destra del banco . Quando il cliente girò gli occhi vide immediatamente una mazza ferrata con su scritto a lettere cubitali “ufficio reclami”. Non rise molto però pagò e prese il suo strumento. Uscendo salutò il Barnaba con un tono soddisfatto e Barnaba ricambiò con un solfeggio. Ormai Barnaba era perso e sconvolto capì che la sua epoca era tristemente passata e lacerata. Si rese conto che sembrava uno stendardo svolazzante. “Bandiera” si ma di quale stato? Una breve visione del passato lo ricatapultò nel presente e ben presto finalizzò i suoi pensieri. “Nessuno”, ma dato che era un tipo forte e non indietreggiava mai (in modo particolare quando qualsiasi situazione gli fosse sfavorevole), decise di autogiustificarsi, e disse “in che stato?” La risposta non se la diede mai però comincio a ricordare i vecchi tempi di quando accontentava tutti, in modo particolare i clienti strani, anzi più erano strani e più i suoi strumenti funzionavano meglio. Gli venne in mente “l’inglese”. “L’inglese si che era strano”. ... Ricordò quel mattino uggioso e ostile in cui le sue scarpe nere lucidissime avevano fatto il loro ingresso nel negozio del giovane Barnaba,con passo leggero e calcolato come se fosse stato un gentiluomo del passato catapultato chissà come nel presente.Si era sistemato gli occhiali sottili e rettangolari sul naso con un gesto fine delle dita abbronzate(il che era già notevolmente insolito per un inglese),e due limpidi occhi azzurro chiaro sorrisero attraverso le lenti dalla montatura grigio piombo. "Hi"- borbottò allegramente,con una voce scattante come un felino così in contrasto con l'atteggiamento apparentemente pacato e raffinato. "Buon...buongiorno"-aveva balbettato Barnaba interdetto-"desidera?" ...L’ inglese schizzava tic a più non posso, infatti, prima di presentarsi, ebbe uno scatto composto da un vocalio,” Piritic piritic” e da un insieme di movimenti eseguiti in apnea quasi simultanei. Infatti, mentre agitava la testa e la spalla verso destra, muoveva in contemporanea, il labbro superiore in avanti e quello inferiore verso sinistra. Nonostante questo piccolo difetto, era un tipo pieno di se al punto da non rendersi conto della sincope che provocava a chi gli era vicino, anzi si pavoneggiava usando termini, secondo lui indecifrabili, tipo cefalea ed emicrania, tramutando così, la sua inesistente voglia di lavorare, in problema statale. L’inglese si rivolse a lui per un flauto traverso. Alla sua richiesta, fatta durante le pause dei suoi maniacali tic, a Barnaba venne istintivo solfeggiare ma si trattenne per non offendere. Con la solita professionalità Barnaba cominciò a prendere le misure necessarie per la realizzazione del flauto e tra un tic ed un solfeggio portò a termine la prima importante parte del lavoro. L’inglese spiegò a Barnaba che il flauto gli occorreva perché, essendo un artista di strada, voleva dare un tocco di classe al suo spettacolo. Questa cosa colpì il maestro in modo positivo tant’è che chiese: “ dove eseguite il vostro spettacolo?” E l’inglese, pavoneggiandosi, tra un tic semicomplesso e il suo classico vocalio, rispose: “ tutti i sabato sera piritì sono nella pia piritìpiritì zza centrale. Sa io ho girato molto, Londra, Parigi, Mosca, Vienna piritì, Salisburgo e quindi non posso accontentarmi di un angolo qualsi piritìpiritì asi”. Ad ogni vocalio corrispondeva un gesto sincopato composto dall’ allungamento del mento verso il basso, dallo spostamento del gomito destro verso l’esterno e la rotazione di un ottavo di giro della caviglia sinistra, scuotendo così forte la testa che tutta la forfora, di cui era ben fornito, lo trasformava in un carillon natalizio in versione quasi umana. Il Barnaba non si fece trovare spiazzato infatti, con un abile colpo di gambe, si era preventivamente allontanato dall’inglese senza che lo stesso ne sospettasse il motivo. Verso sera il Barnaba decise di vedere all’opera l’inglese. Il maestro indossava abiti discreti per passare inosservato e, recatosi in piazza, attese l’ora dello spettacolo mettendosi nell’angolo più tranquillo. Ad un tratto lo vide arrivare in una lussuosa vettura. L’inglese scese e con violenza tirò per la coda una piccola scimmia denutrita e con il viso sofferente. Legata la scimmia al paraurti si sistemò il frac a strisce bianche e rosse e si mise in testa un cappello a cilindro gigante dai colori sgargianti. Montò un palchetto tondo, un leggio con su dei fogli ed uno stereo gigante e immediatamente dopo sciolse la catena per legarla nuovamente al palchetto ponendovi la scimmia sopra, e, accendendo lo stereo, diede inizio allo spettacolo. Di colpo nella piazza si sentì il suono della quarta sinfonia di Mozart che fece accorrere la gente in modo elegante e composto. L’inglese con la bacchetta in mano fingeva di dirigere un’inesistente orchestra, I suoi movimenti erano uno squallido modo per nascondere i suoi numerosissimi tic e cominciò lo spettacolo cercando di coinvolgere il pubblico con un irriverente addestramento di scimmia Gli astanti, scandalizzati, rimasero per qualche minuto esterrefatti e l’inglese credette, maniacalmente, in un suo personalissimo successo. Fu allora che, travolto dai suoi effervescenti tic, urlò: “piritìbestiaccia, piritì salpiritìpiritìta, bapiritìlla” rivolgendosi alla scimmia che, schiava di tanta deficienza, si limitava ad eseguire quello che divertiva il capo ( e solo il capo). La gente ormai inorridita donava monetine alla scimmia e tirava noccioline all’inglese che, colpito da un irrefrenabile miscuglio di tic, non sapeva quale parte del suo corpo si muovesse prima. Il linciaggio, da parte della gente, fu evitato solo perché l’inglese tra un “piritì” e un ondulamento mascellare cadde vinto dalla stanchezza. Barnaba, che ormai non si scandalizzava più di niente, visto il penoso spettacolo, prese la sua decisione e pensò: “costruirò un flauto traverso eccezionale”. Immediatamente tornò nel suo laboratorio prendendo carta e penna cominciò a progettare un flauto traverso che ad ogni tic dell’inglese gli si attaccava automaticamente alle dita e alle labbra e non mollava la presa. Dopo lunghe ore di lavoro e di progettazione lo strumento fu completato. Come era solito Barnaba curò ogni piccolo dettaglio e il flauto diventò la sua ennesima opera d’arte. Quando l’inglese entrò in negozio disse: “buon piritipiritìgiorno” muovendo a scatti velocissimi , contemporaneamente, sia l’anulare che il mignolo della mano destra. “Buongiorno” rispose Barnaba che immediatamente diede il flauto al cliente. Scintillava così tanto che l’inglese per poterlo ammirare meglio si stropicciò due volte gli occhi. “E’ vera pirititi mente bello, che dice suona?” disse con la sua solita irriverenza. “Lo provi” rispose Barnaba sperando che il cliente accettasse. “Dopo a casa” continuò l’inglese, ignaro del fatto che Barnaba l’avesse visto all’opera, e disse : ”deve sapere che io lavoro in coppia e preferisco sempre piritìpiritì provare con la mia partner”. Barnaba disse: “come desidera! Posso riporlo nell’astuccio?” “Certo” rispose l’inglese e prendendo il suo strumento ticchettando se ne andò. Barnaba pensò: “sabato non è lontano “ e cominciò la sua attesa tra una sigaretta e un solfeggio che misto a spuntini di carote, prosciutto di cinghiale e formaggio tagliato a scaglie lo resero tanto calmo quanto irriverente nei confronti dell’avvenire che, lui stesso, preannunciandoselo, aveva deciso. Dopo qualche giorno, è inutile dirlo, i solfeggi non potevano più essere contenuti a tal punto che gli sbuffi, derivanti, forse da un’immaginaria tromba jazz o dal borbottio di un sax, che da sempre aveva ipnoticamente attratto il maestro, si scekeravano esattamente come le scintille dei divertenti fuochi artificiali abbinano paurosi suoni a sublimi visioni. Per tanto scopriamo che gli attimi composti dal miscuglio di benessere e malumore irrigidirono in modo tale il Barnaba che non bastarono sigarette e psicoviaggi a donargli sollievo. Finalmente il sabato sera era quasi arrivato Barnaba aveva atteso quel momento per ben cinque giorni, la sua barba era talmente ispida da sembrare carta abrasiva, i suoi occhi erano furenti e la sua tensione era ai limiti del concepibile tant’è che i suoi polmoni, dopo aver respirato qualche migliaio di sigarette, non fecero il minimo cenno di rivolta per paura che Barnaba li prendesse a morsi. Arrivò in piazza e si appostò al solito angolo tranquillo. Finalmente la lussuosa auto arrivò. L’inglese, con il suo stile ed i suoi tic, scese dalla vettura con un’aurea diversa e, come al solito, pieno di se. Sembrava quasi che le sue scarpe, lucidissime, non toccassero terra ma si mantenessero sollevate dal piano di quel tanto che bastava per donargli un’aria di santità e di mistero. La scimmiotta, ancora più impaurita del solito, si autoincatenò felicemente alla vettura dando allo sprovveduto, ma sempre pieno di se, inglese la possibilità di sistemarsi l’abito che si era fatto preparare per l’occasione Non indossava infatti il solito frac a strisce ma, per l’evento, indossava un pantalone rosso vermiglio alla zuava, un bluson bianco con volants alle maniche e al collo, ed in fine un mantello a collo alto di vigogna rossa con ricami dorati che facevano a pugni, come se fossero dottor Jekyll e mr Hide, con la sua collana dorata con medaglione di dimensioni giganti. In quel momento cielo e terra, consapevoli del futuro avvenimento, avrebbero voluto prepararsi ad un evacuazione totale ma, non avendo avuto il permesso de nessun’entità a loro superiore, dovettero accettare il difficile compromesso che gli eventi avevano stabilito. L’inglese disse alla povera scimmia: “piriti prepa piritì rati bestia con il cestino, oggi i piritì soldi li dovrai raccogliere piritipiriti con la pala grazie a me piritì”, e accese lo stereo portandosi il flauto alle labbra. Dallo stereo uscirono le prime note del volo del calabrone, incuriosendo la gente che si avvicinava, e, fingendo di suonare, iniziò a muoversi, ma in quel preciso istante gli venne un tic di dimensioni esorbitanti, riuscì a muovere piedi, testa e naso nella direzione di nordest mentre le ginocchia puntavano a sud e i gomiti verso direzioni a noi sconosciute mentre la testa tremava come se avesse preso una scarica elettrica di dimensioni inaudite. Di colpo il flauto gli si attaccò alle dita e alle labbra e l’inglese immediatamente capì che qualcosa non andava e il panico lo assalì, ma la musica ormai montava i tic si moltiplicavano e il flauto non mollava la presa trascinandolo prima in un vorticoso e complesso gioco composto da note e fogliame che si intrecciavano e sbeffeggiavano il suonatore, poi il fogliame si dileguò ridendo a crepapelle e le note fecero comunella con degli spiritelli con occhi rossi e testa a palla di strumenti deceduti gia da qualche secolo che, non contenti, si fecero accompagnare da altri spiritelli loro amici. Due erano gli spiritelli di leggii e uno lo spirito dello spartito della quarta sinfonia di Mozart che da sempre era stata scimmiottata dall’inglese. Gli Spiritelli entravano ed uscivano dagli abiti del povero sprovveduto tirandogli con molta calma i peli, poi, non contenti, si infilarono nei calzini e cominciarono a consumargli i piedi a partire dai mignoli. La sinfonia intanto continuava anzi aumentò il ritmo e l’intensità consentì agli spiritelli, che ormai finito con i piedi si erano trasferiti nel naso, di fare il loro tanto desiderato girotondo nasale. La gente presa dal panico cominciò a correre lasciando sul posto di tutto, ciambelle, chupa chups, biciclette senza manubri e qualche furbo lasciò, ma non del tutto sbadatamente, la sua puzza di piedi. Ormai l’inglese volteggiava nell’aria e circondato dalla sua forfora, che ormai aveva una sua struttura pensante, sembrava quasi una stella cometa, ma l’effetto durò poco perché la stessa decise di darsi alla fuga. Ormai il pagliaccio di strada era diventato qualcosa di inutile alla mercè degli aventi. Tutto di lui puzzava di inutile, anche la sua magnifica auto, infatti il colore, che ormai era appassito, pian piano decise di dileguarsi e quando scoprì che poteva morire sull’asfalto chiamò in modo concitato anche il carburatore e i pistoni che, manco a dirlo, si affrettarono a seguirlo e, con un ultimo sforzo, cercarono di avvisare lo sterzo e gli sportelli che ingenuamente rimasero titubanti. D’un tratto un Dio, o forse un semidio, sentito l’enorme baccano, si affacciò per controllare cosa stesse accadendo. Resosi conto urlò: “Barnaba”, ma Barnaba trafficava con la catena della scimmietta per poterla liberare. L’entità decise che il tutto doveva avere fine e così fu. La scimmietta fu libera e quando l’inglese si riprese vide Barnaba e disse senza alcun vocalio strano e nessun tic: “avete visto cosa sono in grado di fare?” Barnaba rispose:”certo avete suonato il flauto in modo divino. A quando il prossimo spettacolo?”e l’inglese replicò:”non so, forse mi prenderò un periodo di vacanza”. Barnaba andandosene lo salutò e gli disse:”lei sa dove trovarmi, se dovesse avere bisogno”. In quell’istante entrò un cliente e lui, rimettendo i piedi sulla terra, disse:”buongiorno” e tutto ricominciò.