Il negozio era semibuio. Era posto ad angolo tra due strade, esattamente in direzione Nord Ovest, verso il mare, ma questo lo sapevano in pochi. Nelle due vetrine angolari, un po' polverose in verità, era esposta la merce. La luce era fioca, sia di giorno, come se il sole non ce la facesse a penetrare quel grigio-polvere delle vetrine, sia di sera, quando due lampadine giallastre e una piccola abatjour di pergamena scolorita venivano accese. Dentro, scaffali di legno, pienissimi, e un piccolo bancone ovale di legno rossiccio e lucido, immacolato, che strideva vistosamente con il resto del negozio.. Migliaia di faccette buffe si affacciavano dagli scaffali di legno e sembravano osservare con occhi curiosi e attenti il mondo circostante: erano visi di folletti, alcuni anziani, con i nasi rossi e i capelli ispidi e grigi, altri teneramente giovani, le delicate orecchie a punta, i toni pastello dei vestiti, l'iridescenza trasparente delle piccole ali. " Foresta Incantata" era il nome del negozietto, e vi si vendevano appunto dei portafortuna, statuine artigianali colorate e quanto mai realistiche, rappresentanti gnomi, folletti, piccole fate, tutte le meravigliose creature delle foreste incantate insomma,pochi euro per regalare ... regalare un tocco di magia e fortuna a chi più si amava,e la cosa più incredibile era che quelle statuine variopinte dalle simpatiche fattezze attiravano i più allegri e divertiti sorrisi dei clienti,anche se poco prima ombre erano dipinte nei loro occhi adulti di uomini,donne e ragazzi travolti dal ritmo incessante della vita.Impossibile non sorridere,o almeno così credeva il vecchio Jona, che appollaiato su una vasta ma consunta poltrona puntava i suoi piccoli occhi opachi sull'ennesimo folletto,il pennellino stretto tra le dita sicure e rugose,in atto di minaccioso attentato al minuscolo gilè di di gesso. "Rosso o verde,eh?"-domandò Jona alla statuetta muta. In quel momento si udì un fortissimo scampanellio e il nuovo cliente appena entrato sussultò colto di sorpresa:mille e più campanelli erano appesi accanto all'uscio,e lentamente stavano spegnendo il loro tintinnio... Si trattava di un uomo allampanato e dal naso aquilino, pallido di carnagione ma rosso in viso. Sembrava affannato. Jona pensò che stesse correndo da chissà quanto tempo. Inizialmente non sembrò accorgersi del posto in cui era entrato; magari si era catapultato lì per sfuggire qualcosa. Il negoziante decise di far finta di non aver notato quell'uomo dall'aria così elegante e strana allo stesso tempo. Di sottecchi lo squadrò da capo a piedi: indossava un completo grigio e una cravatta viola, portava gli occhiali ed era ben pettinato; dal taschino della giacca emergeva un fazzoletto rosso scarlatto; calzava scarpe di un colore strano e indefinibile, che a Jona sembrò molto somigliante al vomito. Aveva in una mano una ventiquattrore e nell'altra un piccolo oggetto, forse una spilla, di forma triangolare. "Si veste al buio o ha perso una scommessa?" fece Jona con noncuranza alla statuina. I suoi genitori erano stati pescatori una vita intera, e lui aveva ereditato da loro i modi rustici e schietti tipici di quel borgo marinaro. Ad ogni modo, l'uomo non parve sentirlo. "Lei naturalmente non mi conosce" disse l'individuo, ancora affannato. "Per fortuna no" ribattè Jona. "Questo vuol dire che dovrò spiegarle alcune cose... Mi ascolti attentamente, la prego." Il negoziante non si mosse. L'uomo fece allora per parlare, quando da dietro il bancone un forte rumore scosse l'aria... Dallo scaffale più alto, tutte le statuine erano rovinosamente precipitate a terra e giacevano una sull'altra in un groviglio colorato.. Jona sussultò, temendo danni e, con una insospettata agilità, corse a raccogliere le decine di folletti che erano cadute a terra. L'uomo si avvicinò con uno sguardo proccupato e cominciò ad aiutare il vecchio che, dopo averlo guardato fisso per un momento, con gli occhi semichiusi, assentì dicendo: " Intanto mi potrebbe anche spiegare...! perchè...non sono cadute da sole queste statuine, vero?"... L'uomo scosse la testa in segno di diniego. " Mi chiamo Delus, della stirpe di Formigine" Jona provò un brivido lungo la schiena. " L'elfo maledetto?" sussurrò. Delus annuì e abbassò la testa. Il vecchio sapeva bene la storia, chissà quante volte ne aveva sentito raccontare, magari a voce bassa e un po' timorosa, magari nelle sere d'inverno piovose ululanti di vento, seduti accanto al fuoco, come usava una volta...
FORMIGINE
La stirpe dei Formigine era la più famosa e antica tra le case degli Elfi, contava una progenie numerosa di condottieri, guaritori, sacerdotesse della Foresta. Marquus e Alinia erano in quell'era fogliare ( così il tempo degli Elfi era valutato )i capostipiti, cioè i membri più importanti e rispettati. Le loro nozze sarebbero state sontuose e vi avrebbero partecipato numerosi i rappresentanti di tutte le Razze conosciute. Nani, Trolls, Elfi Neri, Qurbat( uomini con la coda)... Niobus non era stato invitato. Da quando, ribellandosi, aveva rifiutato obbedienza al Consiglio, era stato bandito, viveva solo ai margini del deserto Nero, si diceva praticasse magia proibita e odiasse tutti gli esseri viventi...Ma per Alinia non provava odio, tutt'altro. Le aveva chiesto ripetutamente di essere suo sposo quando era potente e ricco, lei però aveva rifiutato perchè da sempre innamorata di Marquus. Ora solo il pensiero di lei gli teneva compagnia nella vita solitaria e misteriosa che conduceva nella dimora degli avi, ai margini del deserto. Si arrovellava al pensiero delle nozze imminenti. Non gli era riuscito di uccidere Marquus, troppo ben protetto dai Formigine e troppo amato da tutti per trovare qualcuno disposto a tradire onde favorire le sue trame. Sperava solo nella magia proibita...aveva presso di sè un antichissimo testo segreto, veramente la sua famiglia avrebbe dovuto celarlo e custodirlo, così avevano fatto i suoi padri che glielo avevano tramandato, poichè distrutto non poteva essere, avendo un impenetrabile incantesimo di protezione, ma Niobus aveva deciso, dopo l'esilio, di rompere la consegna: aveva cominciato a leggere, a studiare, ad assorbire...e insieme alle formule e alla magia, il suo spirito aveva subito una trasformazione, ora anelava solo al potere, alla vendetta cieca, al possesso della donna bramata a qualunque costo... Giorno e notte, in preda a una specie di pazzia ossessiva, Niobus leggeva, studiava, sperimentava.Cercava una magia così potente da sottrarre Alinia alla comunità degli Elfi e farla sua. Erano due giorni e due notti che studiava un incantesimo di trasformazione e spostamento. Aveva provato su innumerevoli animali, ma morivano subito dopo la trasformazione. Quindi se avesse pronunciato l'incantesimo su Alinia e l'avesse portata con sè, trasformata in colomba ad esempio, ella non sarebbe giunta viva nel suo castello, sarebbe morta dopo qualche minuto e Niobus non voleva una sposa morta...voleva una donna viva e vegeta, che gli desse anche un figlio magari. A un tratto un'idea sembrò illuminargli la mente: forse la trasformazione in un altro essere organico era troppo complessa per quell'incantesimo...e se avesse provato a trasformare il capriolo in una pianta? Così rimuginando, l'Elfo mise il capriolo tremante in una piccola gabbia di giunco e iniziò a recitare con voce monotona e cantilenante la formula segreta dell'incantesimo proibito... __"As Karay ban elleser fudi han... Imahel kara despus.." __ La voce si alzava in toni sempre più forti...la bestiola tremava sempre di più, una sensazione di calore fortissimo avvolgeva la piccola gabbia, a un tratto una luce nera avvolse tutto e si udì uno schianto. Nel silenzio innaturale che seguì la luce nebbiosa si dileguò e una piccola pianta di elleboro apparve al posto del capriolo. Niobus si sentiva esausto, eccitato, pieno di speranza... Si concentrò, giunse le mani, chiuse gli occhi e ricominciò a recitare la terribile formula all'incontrario...ancora il calore, la luce, lo schianto... Il capriolo tremante, ma vivo, riapparve. Il grido di trionfo che Niobus gettò fu udito a grande distanza.
La giornata era fresca, frizzante. Tanta gente si aggirava per il mercato, tra i venditori di mille oggetti colorati, stoffe pregiate, piante rare... Niobus si aggirava nella folla completamente coperto da un mantello con cappuccio, leggero e avvolgente, i suoi lineamenti restavano semi nascosti dalle falde del cappuccio, ma si notava la sua figura alta e robusta: eaveva una corporatura imponente. Scorse Alinia accanto a un venditore di sete, sorrideva e rideva insieme alle amiche, mentre sceglieva e tastava i tessuti, scherzando con il venditore che lodava la sua bellezza...e in effetti il suo bel viso splendeva nel sole, i capelli si accendevano di riflessi rossi e gli occhi azzurri brillavano come fiordalisi.Il cuore di Niobus era stretto in una morsa dolorosa per l'amore e la passione che provava, si accostò lentamente, senza farsi notare, con destrezza fece scivolare nella tasca del mantello di Alinia un piccolo oggetto, poi si ritrasse leggermente e cominciò a mormorare la formula magica...fu un attimo: la luce nera, il rumore nemmeno si udì nel chiasso della folla...una piccola pianta di rosa fiorita apparve all'improvviso ed egli velocissimo la prese e si allontanò con passo sempre più rapido, mentre le amiche di Alinia si cominciavano a guardare attorno in cerca della ragazza che non vedevano più...Niobus raggiunse il suo cavallo e lo spronò in un galoppo sfrenato verso la sua dimora. Stringeva possessivamente la rosa a sè sotto il mantello,mentre il vento gli sferzava il viso deformato in una smorfia di euforia,e giunto al sicuro balzò giù dal destriero abbandonando dolcemente il fragile fiore su un morbido letto sgualcito nelle tenebre soffuse della stanza.Sfiorò con dolcezza in un qualche modo tagliente i petali,prima di socchiudere gli occhi e iniziare a bisbigliare con intensità e partecipazione...ma a metà formula s'interruppe.Dei passi leggeri alle sue spalle.Niobus s'irrigidì un istante,quel suono di passi che non erano i suoi non violava la sua dimora da tantissimi anni. " Niobus!" La figura alta e severa di Melganion si ergeva sulla soglia, il suo antico Maestro, l'unico in grado di superare i suoi incantesimi di protezione e presentarsi così dinanzi a lui. " Niobus! Rifletti! Tu sai veramente che cosa stai facendo?" la voce di Melganion era bassa, fredda. Niobus non rispose, si voltò a guardare il vecchio Druido e il suo volto faceva spavento: gli occhi rossi, lucidi di esaltazione e di lacrime, la bocca tirata, sconvolta...lo scosse una risata amara e terribile... " Vecchio Melganion...hai ancora forze nella tua manica vedo...Sei mai stato pazzo di una donna, vecchio? PAZZO dico, veramente folle d'amore..." " Questo non è amore, Niobus!- rispose serenamente il druido - questo non è amore..._ Gli occhi di Niobus fissarono il vecchio con una disperazione così profonda che il druido ne rimase sconvolto: " Ne sei così sicuro?" mormorò Niobus" ne sei davvero così sicuro?" Melganion tacque, turbato. " Che cosa vuoi da me, Druido? Sono stato il tuo miglior allievo, lo sappiamo entrambi.Ho scelto. Potevo rinunciare e sarei stato infelice per tutto il resto della mia misera vita. Ho scelto. Ho trasgredito, sto percorrendo sentieri di conoscenza ignota, conosco i rischi, alla fine soffrirò lo stesso e sarò infelice, ma almeno avrò lottato, mi sarò opposto alla cecità del destino che voleva fare scelte che spettano solo a me...soffrirò come un dannato, ma non avrò rimpianti!" Melganion scosse la testa " Avevo un'ultima speranza, Niobus...ma vedo che è troppo tardi..." Gli occhi del druido si incupirono, volse le spalle e poi, silenziosamente come era apparso, scomparve. Niobus tremò, le spalle strette e curve, poi si raddrizzò all'improvviso e riprese a dire la sua formula magica: gridava come la voce dell'uragano in una notte di tempesta invernale... Alinia era in piedi, tremante, pallida come una morta, le belle labbra livide. Aveva indosso una veste nuziale sontuosa, nonostante il pallore era bellissima, Niobus si sentiva quasi mancare per l'emozione. La giovane donna appariva in stato di trance, si muoveva lentamente, come un automa, agli ordini magici del suo padrone: lo affiancò, Niobus evocò una figura nera e fumosa e ingiunse:" Olaf! Celebra il rito nuziale!" Lo spettro si inchinò e cominciò a recitare le formule di rito alle quali gli sposi rispondevano a monosillabi, lui per l'emozione, lei per lo stato di trance. La cerimonia culminò nello scambio degli anelli: il mago cinse il sottile anulare di Alinia con una vera di pietre lucentissime, ma la ragazza non riusciva a tenere nemmeno in mano l'anello che avrebbe dovuto mettere al suo sposo, tanto che il cerchietto cadde a terra sprigionando scintille di luce e un sinistro tintinnio. Nervosamente l'uomo lo infilò da solo, poi con un gesto secco fece scomparire lo spettro di Olaf e, sollevata tra le braccia Alinia, scomparve nel corridoio che portava all'alcova.